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Don Carlo Tonini da orfano a parroco impegnato per lo sviluppo di Riccione

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Don Carlo Tonini è stata una figura centrale nello sviluppo di Riccione. Seppe dare nel suo impegno cristiano nell’aiuto dei poveri anche una visione verso il futuro con intuizioni per lo sviluppo della borgata. Dalla sollevazione del tema del porto, ai bambini affetti da scrofolosi, alla stazione fino al turismo.  

L’INFANZIA DIFFICILE
Carlo, figlio di Francesco Tonini e Rosa Marcatelli, vede la luce il 12 agosto 1805, a Rimini, parrocchia di S. Agnese. Sono tempi di carestia, con conflitti in ogni angolo della Penisola che portano ovunque le scorribande di eserciti, dediti al saccheggio e ai crimini più efferati. La sua famiglia, composta dai genitori e quattro figli (due femmine e due maschi – lui è il secondogenito) è assai povera e si disgrega a pochi anni dalla sua nascita a seguito della morte di Francesco e Rosa, probabilmente per l’insorgere di malattie legate a stenti e malnutrizione.

ORFANO A 9 ANNI ENTRA IN SEMINARIO
A soli nove anni Carlo si ritrova orfano ed è tolto dalla strada grazie all’intervento del parroco don Gaetano Frioli che, conoscendone l’intelligenza e la bontà, fa opera di persuasione presso il vescovo monsignor Valfardo Ridolfi affinché lo accolga in seminario. Carlo ripaga tale fiducia applicandosi con tutte le sue energie e qualità negli studi ecclesiastici, meritandosi la nomina a parroco della parrocchia San Martino di Riccione a soli 27 anni. Vi resta sino al 1837 poi è richiamato a Rimini. Dei parenti riccionesi si ricordano i nipoti Ettore, Giuseppe e Luigi coi rispettivi pronipoti Fulvio (barbiere), Giordano (pescatore) e Spartaco (falegname).

IL RITORNO A RICCIONE
Ritorna a Riccione nel 1848 per sostituire un parroco autore di scandali meritevoli di espulsione e processo. Vi rimane per 30 anni filati, sino alla sua morte nel 1878. Don Carlo Tonini ritrova la popolazione riccionese in crescita, dedita ad attività non eccessivamente remunerative ma tali da toglierla dall’indigenza di vent’anni addietro. Nel borgo, sorto sulla via Flaminia, ci sono locande e stalle per il cambio dei cavalli, grazie ai commerci che dal nord vogliono espandersi al sud; sulla fascia costiera discreti ricavi vengono dai trasporti via mare e dalla piccola pesca (non essendoci un porto il grosso delle barche ricovera a Rimini e Cattolica); nell’entroterra grazie alla bonifica di varie paludi (vedi Colombarina) i “casanoli” hanno lavoro continuativo.

Poi, in poco tempo, si verificano importanti cambiamenti: i commerci non sono più fluidi causa atti di brigantaggio e mettono in crisi i gestori di locande e stalle; vari naufragi scuo- tono le certezze dei proprietari di barche; non ci sono più bonifiche e la campagna offre solo lavori per brevi periodi. In più ci si mette anche la ferrovia che dirotta le merci su altre vie escludendo Riccione.

Don Carlo non ci sta, a lui non basta curare le anime dei suoi parrocchiani, vuole aiutarli a risollevarsi economicamente, vuole che il progresso li raggiunga, vuole per loro una vita senza stenti. E si attiva. Il suo primo sguardo è rivolto ai lavoratori del mare. Occorre un approdo sicuro, protetto, un porto per sfuggire alle tempeste e per eliminare la fatica del tirare sulla riva le barche. Sarà il suo primo, tra tanti, impegno in favore della popolazione ed in particolare guardando al mare, in questo senso ebbe anche la felice intuizione di aiutare i bambini affetti da scrofolosi costruendo in questo modo le condizioni affinché l’ospitalità riccionese si trasformasse in turismo. Poi verrà sul solco di questa opportunità anche l’impegno per la stazione ferroviaria.

PERCHE’ PER RICCIONE E’ CENTRALE LA FIGURA DI DON CARLO TONINI

Riccione viene “concepita inconsapevolmente” nel 1832, quando Don Carlo Tonini divenne parroco della Parrocchia di San Martino e in Lui fermentò il desiderio di escogitare un sistema per sollevare quella popolazione dalla miseria. Sboccia alla luce nel 1862, “se piènt dla vita” (col pianto della vita), con quel vagito che fu il fischio del vapore del primo treno in sosta sul nostro lido. Fermata ottenuta dal lungimirante parroco che, con spigliato acume, capì come far giungere il progresso in una terra desolata e con esso il lavoro necessario a debellare la povertà che attanagliava la sua amata gente. E sempre grazie a Don Carlo Tonini, che gira in lungo e in largo la pianura Padana a decantare la salubrità del nostro mare, la freschezza dell’aria e la finezza della sabbia, elementi vitali per la cura della scrofola, che la bimbetta Riccione va “dingatoun” (gatton gattoni). Poi con gli ospizi marini (1877-1897), per accogliere i bambini sofferenti, la bambina “la sta in pid” (sta in piedi) e muove incerta i primi passi verso un turismo elioterapico. I giornali parlano di questo “miracolo” e così, incuriositi come gatte gravide, vengono in visita personaggi importanti della politica, dell’economia, dell’indu- stria e della cultura, da tutta Italia (i riccionesi li chiameranno “I S-gnur” – I Signori).

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