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Mario Cecchini detto Sainati, il “Naif” di Riccione Paese

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Chi era Mario Cecchini? Per noi del “Paese” era semplicemente “Sainati” un soprannome di cui non ne abbiamo mai saputo l’origine. In quegli anni in Riccione-Paese si andava per nomignoli che servivano per una identificazione pratica e immediata della persona interessata.

C’erano Lino e Mulìr, Fujanèin dl’ustarìa, Mario d’la butèga (con la moglie Desdemona), Venturi e barbièr, la Maria ad Gisto, la Righina di giurnèl, la Rosa ad Furmài, Maduroun, Saponi, Basigli, Borsanati (oggi Bar Centrale) dove i Bigiulèt cantavano come calandre. E poi Pulsèin dal pgnate, la Rosina di Pan, Brandi di Zècle, La Beta dal Smente, Bigìn dal scherpe, Saràca che vendeva benzina, biciclette e rivoltelle.

SAINATI ARTISTA NAIF

Sainati, dal canto suo, è stato un personaggio che ad un certo punto della sua vita si è sentito elevare nientemeno che ad “Artista naif”. Il tutto è iniziato al Centro Arti Figurative di Via Anzio dove Mario ebbe un primo contatto come custode, assunto dall’allora Presidente Piergiorgio Baratti confortato dal mio parere favorevole in quanto conoscevo alla perfezione le vicende non facili della sua vita.

Occupato da giovane in qualità di facchino presso la stazione ferroviaria, aveva dovuto abbandonare quel pesante mestiere a causa delle precarie condizioni di salute che ne hanno anche in seguito limitato ogni altra occupazione.

Sposato con la “Dorina di Luchìn”, famiglia della quale facevano parte il padre, anch’egli facchino alla stazione, il fratello maggiore Celeste “Cele” e Fino, quest’ultimo conosciuto da tutti con il soprannome di Zòcc (divenuto poi valente calciatore), senza dimenticare la figlia Carmen.

Sainati ebbe sempre il problema di come sbarcare il lunario. Orgoglioso si guardò bene dal chiedere aiuto alcuno e fummo noi a proporgli quella riposante occupazione che gli consentiva di guadagnare qualcosa ma, soprattutto sentirsi utile in un ambiente che lo vedeva in compagnia di persone che amavano definirsi “artisti”, o per meglio dire, “idealisti”.

Ne fu contagiato. Fornito di colori e pennelli, iniziò a verniciare tutto quello che aveva sottomano: sedie, tavoli, porte, finestre, persino il fico secolare che si trovava nel giardino del Centro. Col passare del tempo, grazie ad una intensa e quotidiana applicazione, Sainati iniziò a dipingere i suoi sogni. Figure astruse, linee traccianti, segni che spesso corrispondevano anche a incubi dalle origini misteriose che nemmeno lui sapeva spiegare (Al famosissimo Chagall non accadeva altrettanto?).

1966 IL PREMIO ALLA FESTA DELL’UNITA’

Fu premiato in tal senso in vari concorsi cittadini: Nel 1966 vinse il Primo Premio nell’ambito della Festa de l’Unità scelto da una qualificata giuria composta, tra gli altri, nientemeno che dal noto pittore Eugenio Barbieri con studio a Parigi, dallo svizzero Marcèl Pfister, ecc. con Segretario Giuseppe Della Marchina. (Per la storia, nella graduatoria seguirono Aldo Bagli con “Anitre sui monti”; Ercole Maresta con “Autoritratto”; Giancarlo Righini con “Il falciatore”; Antonio Giunta con “I mietitori” e Guglielmo Vecchia con “L’aia”).

L’arte” di Sainati fu onorata anche dall’esposizione per diversi anni di due suoi dipinti sulla parete centrale della Cassa di Risparmio di Riccione-Paese. Esecutore “Naif” in quanto ingenuo ma anche consapevolmente originale, qualità questa sempre apprezzabile in quanto consente di distinguere un accademico inquadrato in schemi e teoremi consacrati, da una figura capace di esprimere propri sentimenti, impressioni, sogni, indipendentemente da ogni influenza e condizionamento a priori determinati.

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